ARMODIO Invenzione

ARMODIO Invenzione

dal 10 maggio 2001 al 31 maggio 2001

Libreria Bocca - Galleria Vittorio Emanuele II 12, 20121 Milano

Antologia critica

a cura di Giulia Cafaggi

[...] Armodio è quel che si definisce un personaggio «singolare». Non sembra che egli si affanni a rincorrere esiti di tendenza o, anche e più semplicemente, di «linguaggio». S’è costruito un suo mondo e vi introduce ciò che gli interessa, discorsi, impressioni, fantasie, colorando il tutto di sottile ironia. È proprio l’ironia, infatti, che spesso si trasforma in disincantato distacco, la componente che più colpisce nei suoi dipinti. [...]
Franco Solmi (1970)

[...] Mi è capitato di scrivere la parola divertimento per questa pittura, ma non l’ho fatto per diminuirne la portata, poiché anche il gioco e la festa sono elementi divini. Al contrario, mi sono rallegrato del fatto che queste opere si presentassero con due volti: quello di un libro di magia pieno di segni misteriosi e quello di un racconto di fate e principesse dai castelli di nuvole. La fantasia che regge questa delicata messa in scena non è esente dal suo contrappeso di ironia. Essa ha dei legami familiari con la grazia fabulatrice degli apologhi di Italo Calvino, e non ci si meraviglierebbe di veder nascere sotto il pennello ispirato di Armodio i cugini e le cugine del Visconte dimezzato, del Cavaliere inesistente e del Barone rampante, chissà del resto se anche Armodio non viva sugli alberi? [...]
Patrick Waldberg (1972)

La grande illusione dell’arte è quella di realizzare l’illusione. «Ars gratia artis» è il motto antico: l’arte come parto dell’artificio, la vera ricerca moderna. E così, Armodio si impone di dipingere sul già dipinto. Squaderna dei fiori che sono quelli impossibili dell’infanzia, ma anche quelli di Morandi; fa un orologio che finge un dettaglio di antica «vanitas», ma alludendo al dechirichiano «enigma dell’ora»; isola un frutto che si richiama a un dettaglio di Crivelli o di Carrà. Tutto è vero (la mela, il fiore, l’oggetto), tutto è finto (un campionario di carta), tutto è coniugato al passato (de Chirico o Crivelli, Morandi o Antonello). L’obiettivo dell’arte rimane, con tutti i suoi perfettibili codici, l’arte. [...]
Maurizio Fagiolo dell’Arco (1985)

[...] Il repertorio dell’immaginario, del reale invisibile e sorpreso, suggerisce ad Armodio giochi e straniamenti, equilibri inediti, metamorfosi, una inquietante flora di carta. Pratica in pavimenti levigati tasselli, minuscole botole, un po’ le piastrelle delle vecchie dimore, sotto le quali si nascondevano segreti e tesori [...].
Alberico Sala (1985)

[...] Tra surrealismo e metafisica, tra l’invenzione d’una situazione e di un’immagine e la sua collocazione in uno spazio ben compiuto, in cui però l’emozione, la sensazione giocano sovrane, Armodio ha certo toccato una sua stimolante maturità espressiva che Maurizio Fagiolo definisce puntualmente come metafisica. [...]
Giorgio Mascherpa (1985)

[...] Reperti, usciti con lentezza di creazione dalla sua cauta mano, su carte invecchiate col fiele, e poi, quasi in un rito iniziatico, a poco a poco emersi, componendo fantastici balletti di oggetti improbabili, ma che in fondo fanno parte della nostra più intima immaginazione, se, come è vero, ci è così piacevole ritrovarli. [...]
Claudia Gian Ferrari (1988)

[...] Armodio è artista coerente, di forte fisionomia, ma tutt’altro che ripetitivo, e anzi sottilmente impegnato a interiorizzare sempre più il proprio discorso, sino ai limiti di un’impressionante impalpabilità, dove tutto si fa leggero come carta e la carta non è più che parvenza di una realtà percettibile ma non toccabile, tracce di muri ridotti a pure macchie e ombre [...].
Rossana Bossaglia (1990)

[...] Così i preziosi volumi assumono la forma di una piega del deserto, un piccolo Kalahari nel salotto di casa; oppure, sopra di essi si spande la luce rosata di un plasticato tramonto in un interno inesistente, o profumato come l’antichità. Queste file di soldatini un po’ claudicanti, con le stampelle rotte dall’uso, hanno al loro fianco bandierine di una giostra medievale, il colore del gioco contro quello di un’inventata eternità. Orizzontali visioni, oblunghe finestrelle stipate di sapere, sono tra i quadri più belli che Armodio abbia mai realizzato, e stanno come la folle risacca del mare nell’opera di un grande pittore di natura. [...]
Marco Goldin (1994)

[...] Ci sono generose feritoie, nascosti cunicoli, ben mascherati passaggi segreti, nella pittura di Armodio: ma la chiave risulta definitivamente trangugiata dal bianco calce. In quei cieli pulciosi, contaminati da una lebbra della pietra quali risultano al tatto le pareti del nostro pittore, molti viaggi ambiziosi, alla ricerca di una soluzione dei comuni maggiori quesiti, s’infrangono contro quella barriera costituita di acqua cedevole e di rinuncia. La natura è venuta a mancare: la volta celeste s’è impastata di pietrisco e di sordo grigiore mentre la luna è diventata un monile saraceno, escrescenza carnosa appesa alla scatola cranica della notte. [...]
Marco Vallora (1993)

[...] Ciò che in ultimo mi preme sottolineare è l’unità pittorica della sua opera, unità che non si riscontra soltanto nella sua tecnica straordinaria, spinta a volte ai limiti del trompe-l’oeil, ma che è causa ed effetto insieme della sua ispirazione e che, ancora con una immagine trasposta, una metafora, può esser vista come una soglia, il punto di incontro fra diverse dimensioni dello spirito: l’appartenenza ad una cultura ed il fascino potente di un’altra; il vivere intensamente il presente assaporando con lucidità il passato; la necessità di confrontarsi con il reale prefigurandone la trasfigurazione, cioè il suo futuro; la tentazione della «melancholia» ed il saldo proposito di continuare a combattere con le armi che si sono scelte in un continuo processo di autoeducazione, perché la Bellezza conquisti il mondo degli uomini e lo renda un po’ più simile a se stessa.
Marilena Pasquali (1994)

[...] E i libri crescono, gli scaffali si piegano sotto il peso di tomi sempre più gonfi, l’aria ferma si riempie di quella polvere spessa, profumata di inchiostro e di remote fragranze di boschi, che si posa sui ripiani per danzare pigramente al primo raggio di sole.
Nuove presenze si fanno notare tra le forme vive di Armodio, ognuna con la propria personalità e con un pizzico di diversità, tanto da apparir in buona misura altre rispetto a quelle che le hanno precedute. I modi del linguaggio sono gli stessi per tutte le opere, ma ciascuna ha una sua voce propria, forte nel silenzio complessivo, ora ammiccante di vita, ora ovattata nel buio. Non viene meno la saldezza e la pulizia del modellato, quella meditata forza di sintesi che connota tutta l’arte di Armodio e che la preserva da ogni tentazione di disequilibrio surreale; cambia piuttosto l’atmosfera, mentre l’aria si riempie di vibrazioni per certi aspetti inattese, di qualcosa di inquieto e di inquietante che acuisce i nostri sensi e risveglia la nostra sentinella interiore. [...]
Marilena Pasquali (1996)

[...] Del resto Armodio il tempo lo ha già vinto, prima ancora che attraverso l’irreversibile giudizio dei suoi contemporanei, con la sua inimitabile pittura. Erede estremo della lezione metafisica, Armodio si è sempre compiaciuto della sua spiccata vocazione all’anacronismo.
Culto del disegno, padronanza maniacale della più classica prospettiva rinascimentale, cura ossessiva per la resa delle luci e dei volumi, formalismo calligrafico ispirato alla miniatura orientale, pratica della desueta tecnica a tempera. Pittura che non conosce errore, mai sfiorata nemmeno dai più pallidi dei dubbi, delle incertezze. [...]
[...] La pittura di Armodio rappresenta la perfezione negata proprio come sarebbe piaciuta a Jung. Potremmo essere a un passo, se Armodio lo volesse, dall’incorrotta atarassia di Morandi o dai processi di “archetipizzazione” dei dettagli più ordinari di un Domenico Gnoli. Ma ad Armodio la perfezione senza il diavolo di mezzo non deve piacere. È per questo che dipinge singolarissimi witz freudiani, motti di sottile arguzia che non danno adito a ironie sferzanti o a risi sardonici, quanto piuttosto a piccoli, delicati stupori che ci rubano sinceri sorrisi, gioie semplici, ma intensissime di un attimo. Novello Arcimboldo, Armodio sogna ad occhi aperti (mai un incubo, mai un accenno d’angoscia nelle sue immagini) e nel guardare la realtà veste i panni dell’homo ludens. Diceva Huizinga che ogni forma di cultura, anche la più alta ed elaborata, è stata in origine un gioco. Armodio vede, cattura con l’occhio e sublima con la mente per poi giocare, disfare, incrinare la porzione di assoluto che aveva pazientemente composto. [...]
Vittorio Sgarbi (1997)

[...] Dopotutto Armodio non esibisce visioni preoccupanti o pessimistiche come fanno in maggior numero i pittori congeneri. Questi oggetti sono come fossili: l’esattezza calcificata del loro aspetto li riduce a minerali e non v’è alcuna sensazione di morte per chi li osserva. Stranamente, è proprio il caso di dirlo, queste immagini ora fanno parte della nostra esperienza operando una metamorfosi complessa trasferendosi dal mondo fantastico a quello comunemente sensoriale.
Renzo Margonari (1999)

[...] La materia gioca di continuo con il segno, e tutto è teso a raccontare di una cultura contro corrente: quella della lentezza. E dall’accuratezza dell’esecuzione. Quella sempre più desueta della riflessione e dell’ironia. Quella di un tempo sempre presente. Come fermo. Vien da pensare a una sorta di meta realismo, la dove il racconto è sempre attento e leggibile. Mai di maniera. La pennellata è un gioco come per la preparazione di una favola destinata non ai bambini ma piuttosto agli adulti. Una riflessione ironica ma anche accorta che non demanda mai del tutto all’immaginazione o all’improvvisazione. C’è un uso accorto della materia e del colore, l’uso difficile e ormai desueto della tempera, che Armodio gioca a suo piacere, e c’è una calligrafica precisione, come per un paziente lavoro da miniaturista, catturato, per chi sa quale strano sortilegio, da una gran voglia di far dilatare lo sua composizione. E non per mera necessità di allargarsi, ma piuttosto per il bisogno di misurarsi con uno spazio che offra più tempo al gioco sottile che si compie inseguendo l’uomo nei corridoi dell’esistenza spesso fantasticandolo e rendendolo favoloso agli occhi altrui. [...]
Umberto Cecchi (2000)

Da sempre, in quelle remote stanze sigillate nel silenzio, dove le cose vivono di una vita propria e la raccontano attraverso la fissità del loro essere presenze metafisiche tutt’altro che anonime, Armodio ambienta, costruisce e rende infine esclusive le proprie composizioni pittoriche, che riverberano al loro interno il sapore di una consuetudine domestica insieme alla raffinata eleganza di un esercizio espressivo incapace di sottostare ai pretestuosi indirizzi proposti dalle mode del momento.
Giovanni Faccenda (2002)

Armodio. Difficile pensare a un nome d’arte più felice, più corazzato, di quello scelto da un piacentino timido e determinato, per sigillare le sue invenzioni con un marchio che le rendesse più forti del loro tempo, sottraendole alla cronaca. Così Armodio ha inteso la sua impresa d’artista, come se la pittura gli consentisse di fingere il marmo e l’intarsio di pietre dure, dominando la materia fino a trasfigurarla. Questo rende la sua opera insolita e rara, e per la fantasia dell’invenzione, e per l’impegno a rendere resistenti e solidi i sogni. La favola e il racconto stanno, per Armodio, in una realtà chiara, non fragile e non turbata. Dal tempo della crisi, dal relativismo delle forme egli esce con un’immagine integra, specchio di una visione dell’inconscio, di un pensiero segreto che ha trovato espressione. [...]
Vittorio Sgarbi (2005)

[...] In nessun caso le invenzioni di Armodio potrebbero essere riferite fotograficamente poiché non consistono nel loro APPARIRE materiale bensì nel loro ESSERE mentale. È dunque esplicita la qualità peculiarmente pittorica della fantasia armodiana. Così vediamo l’artista provocare volontariamente ogni sortilegio pittorico, cercare gli equilibri formali più precari protendendosi ai margini estremi dei canoni, le finezze cromatiche più intriganti, la più impervia tessitura materica usando, con destrezza virtuosistica la tecnica della tempera, antica e preziosa, inalterabile, severa procedura che richiede grande pratica, sapienza, tali da relegare altre – come la tecnica a olio – a ruoli di dominio dilettantesco. [...]
Renzo Margonari (2007)

[...] Abituato a meditare per immagini, Armodio le distilla come un paziente alchimista, facendone germinare oscure propaggini latenti sotto la loro stessa pelle. Inedite entità fioriscono sinuose, accarezzando superfici immanenti ove si celebrano idilli soavi, in un teatro virtuale che accoglie al suo interno altre fantasiose e memorabili sequenze.
Metafisica delle cose? Fino a un certo punto. Dacché Armodio ha cominciato ad elucubrare luoghi (un omaggio alla rinascimentale Città ideale conservata ad Urbino?), inseriti naturalmente nei suoi personalissimi contesti, si è subito allargata l’angolatura mentale e psicologica di spazi ora abitati da un’improvvisa novità di anime. [...]
Giovanni Faccenda (2011)

[...] Il mestiere, prima di tutto. Armodio è un grande tecnico. Dipinge quadri piccoli o medio piccoli sempre su tavola e sempre a tempera, come i maestri antichi. La sua presa mimetica sulla pelle delle cose (sul dorso di un libro, sulla superficie grigio argento di una teiera, sugli infiniti accidenti di ombra e di luce che abitano un legno o una carta) può essere totale. Il suo sguardo a lunga posa, la sua percezione lenticolare dei minima di verità e di natura, fanno pensare ai fiamminghi dei grandi secoli. Ce lo dimostra la serie dei dipinti dislocati fra gli anni Ottanta e Novanta: nature morte di volumi, soli o variamenti aggregati, caffettiere fra loro dialoganti, nominate da titoli giocosi, sapienziali, poeticamente allusivi.
Armodio queste cose le sa. È un pittore figurativo affascinato dal mistero dell’universo visibile. «Nunc videmus per speculum et in enigmate» aveva scritto San Paolo nella Seconda ai Corinzi. Noi vediamo come attraverso uno specchio e lo specchio ci consegna rovesciato e deformato il significato della visione. Vediamo immagini che sono figura di altre immagini, tasselli di una sciarada che non ci è dato, per ora, di risolvere, se non per provvisorie parziali intuizioni, per decifrazioni minime.
L’enigma paolino può essere angoscioso, può generare allucinazioni e incubi. Non per Armodio. Perché il proprio della sua arte è lo stupore. Il mondo per lui è la bellezza struggente della pelle delle cose – il rosso di una scarpetta femminile, il grigio piombo di un ritaglio metallico, la copertina consunta di un vecchio libro – ma il mondo è, allo stesso tempo, una meravigliosa foresta di simboli, un labirinto disseminato di piccoli segni.
Bisogna tornare all’Arcimboldo e alla Wunderkammer di Ambrasz per intendere il genio di Armodio. Un artista che si inventa universi paralleli costruiti però con i sapori e i colori di questo mondo e che li immagina popolati di gioiosi ironici enigmi.
Antonio Paolucci (2011)

[...]La pittura di Armodio (Vilmore Schenardi, Piacenza, 1938 – Vive e lavora a Piacenza) è quella di un pittore solitario che opera in una città solitaria del Nord Italia, quasi ai confini tra la Lombardia e l’Emilia Romagna: Piacenza, città ibrida, che ha dato origine ad una eclettica pittura attraverso tutto il secolo, ad una pittura eterogenea. Armodio è un surrealista che non fa parte del surrealismo, non fa parte di nessuna scuola, è un metafisico che non appartiene rigorosamente alla Metafisica, è un artista che opera nel solco dell’arte fantastica, con la quale ha spesso un rapporto conflittuale. Inventa un proprio stile, inventa una propria Metafisica che passa attraverso la descrizione di oggetti casalinghi o usuali e li distacca dal tempo, li separa dal proprio uso, diventano inutili ed irreali. Una caffettiera diventa una casa, un libro, che probabilmente non ha nel suo interno nemmeno una parola, sembra appena uscito dalla Biblioteca di Borges. Stivali o scarpe certamente appartengono ad una remota età. Tutti questi oggetti sembrano inventati da Armodio stesso, prima sicuramente non esistevano, sono gli eloquenti attori di un dramma dei Pupi, sono stati estratti da qualche oscuro sotterraneo, appartengono alla collezione di qualche castello medievale, sono già oggetti da museo, sono gli strumenti di un alchimista della pittura.[...]
Janus (2012)

La sua formazione dipende non tanto dalla frequentazione dell’Istituto d’Arte “Gazzola” della sua città, quanto dall’incontro con il pittore Luciano Spazzali, il cui studio costituisce il luogo propizio alle sperimentazioni ed alle contaminazioni. Qui conosce il pittore Gustavo Foppiani, prima maestro e poi compagno di strada; i due lavorano assieme ed in seguito si unisce il pittore Carlo Bertè che dividerà lo studio fino al 1980.

Si venne così formando quel libero raggruppamento animato da curiosità verso le piu varie manifestazioni di cultura, intenzionato a leggere la realtà sotto il segno dell’ironia e propenso alla trasgressione giocosa. La prima personale piacentina è del 1963 alla Galleria Genocchi di Piacenza e nel 1964, per merito di Foppiani, approda alla galleria l’Obelisco di Roma. Negli anni sessanta il pittore soggiorna per un breve periodo a Londra e collabora con l’americana Lily Shepley ed in seguito con la Galleria Fornidi Bologna.

Mentre del 1972 è l’incontro con Philippe Guimiot, che apre all’artista la propria galleria di Bruxelles, avviando cosi una proficua collaborazione. Da quel momento la maggioranza dei suoi dipinti entrano in importanti collezioni private in Europa come negli U.S.A. Dopo un periodo con la Galleria Gian Ferrari di Milano, Armodio approda alla Galleria Braga di Piacenza; terminata quell’esperienza, lavora in esclusiva prima con la Galleria L’Immagine di Arezzo poi con la Galleria Marescalchi di Bologna. Oggi la sua attività è trattata dalle maggiori gallerie italiane ed estere.

Libreria Bocca sas di Lodetti Giorgio e C. PIVA 08041150155 REA 1195580
Galleria Vittorio Emanuele II 12, 20121 Milano – Italy libreriabocca@libreriabocca.com
tel. 02.86462321 02.860806 - fax 02.876572