EGIDIO CASTELLI
dal 28 settembre 2011 al 09 ottobre 2011
Libreria Bocca - Galleria Vittorio Emanuele II 12, 20121 Milano
……..Nel lavoro iconico di Castelli subito s’avverte, dalla sua densità e dalla sua composizione, che aspetto e carattere essenziale di quella materia è d’essere quasi stratificata, e non solo perché il desiderato risalto dei colori abbia un supporto materiale, ma perché l’ultima pelle documenti – come le stratificazioni geologiche del terreno che interessavano Fontana e Mastroianni – il ritmo dell’aggregarsi e del mutarsi, la storia di sigle e di tracce cosmiche di cui quella materia è come impastata nell’apeiron, nell’indeterminato, nell’informe, e che tende a prolungarsi e vivere nel presente.
……….Nella pittura informale di Castelli il sapere oltre il non-sapere è l’unica via che si apre per giungere all’orlo estremo, là dove possibile e impossibile si toccano, là dove dunque si può sfiorare l’inattingibile che è l’essere della cosa, che è l’essere di questo essere qui, ovvero il fondamento sfuggente che si esperisce, ma solo nel suo articolarsi in discontinuità, cesure, sincopi, incompiutezze, schegge.
D’altro canto, la sua opera è anche un’immensa costruzione linguistica, che passa per la costante decostruzione del magma coloristico, che ha un racconto analogo nella theoria filosofica di Blanchot, di Derrida e di Lévinas, ma pure nel mythos greco che accoglie in sé tutto, la parola vera come la parola falsa.
………. Nicolas de Staël e Gerhard Richter indubbiamente lo spingono a lavorare su una materia sempre più sufficiente alle sue stesse possibilità formali. Mentre Staël ne fortifica quel forte e razionale senso di una statica costruttiva, Richter gli mette la pulce nell’orecchio che per ottenere una dynamis intrinseca occorre insistere sui mezzi puramente plastici, sui mezzi offerti dal permanere del rilievo policromo, onde non “aggiungere” il movimento a una materia che deve virare per forza propria.
Bisogna subito dire che Castelli non può essere definito un pittore astratto in nessun momento del suo iter pittorico, anche là dove la tache coloristica geometrica può far pensare a una partenza da Larry Poons o da Peter Halley.
……Quella di Egidio Castelli è un’arte di effusione sensoriale che idealmente coniuga le ultime Nymphéas di Monet con il primo Kandinskij e che riforma il dripping pollockiano con la pratica più intima e contenuta della tache, del gruppo ansioso e dolente e soprattutto del segno, sia minuto quasi bacillare alla Tobey sia lineare alla Tancredi.
Ma dietro il segno non si avverte, con la prepotenza di Kline e di De Kooning, l’energia del gesto, come luogo della vertigine espressionistica; il segno parla in prima persona, è lui il protagonista, non il braccio che l’ha vergato. Tuttavia, questa differenza non basterebbe a spiegare perché l’esperienza castelliana non è un epigono dell’action painting, ma una pittura che l’ha superata dall’interno, dove la visione si frange sulla memoria, ed è la risultante delle images d’absence di cui ha parlato nella Pierre écrite Bonnefoy.
.......Sul piano della ragione, e del darsi ragione, del farsi una ragione, l’artista lentamente mette a frutto quel peu à peu che Baudelaire aveva scoperto come l’essere del divenire, il partecipare della coscienza alla passione.
Floriano De Santi