ELENA MONACO
dal 06 maggio 2009 al 31 maggio 2009
Libreria Bocca - Galleria Vittorio Emanuele II 12, 20121 Milano
Grafite. China. Gomma. Lametta. Bisturi.”Sembrano ordini di un chirurgo in sala operatoria più che didascalie delle raffinate opere di Elena Monaco. L’artista torinese - liceo artistico e accademia ove nel disprezzo del figurativo non si insegna più a scolpire e a dipingere - viene iniziata all’astratto. Gusto innato e dedizione appassionata la convertono a un prodigioso stile classicheggiante,con sentendole di realizzare opere eccellenti impostesi al premio Cairo-Arte per la grafica e nello stesso anno all’altrettanto prestigioso riconoscimento Faber-Castell,avvincendo per eleganza formale,originalità tematica e qualità dei suoi lavori,disegni, tecniche miste,oli e incisioni da liberatorio grido di esultanza:l’arte è tutt’altro che morta! Lacredono tale solo i deboli di giudizio e gli ostinati modaioli che,tentan-do invano di affossarla,si pre-sumono scaltri nell’inseguire le più bislacche facezie che nulla hanno a che vedere con l’autenticità della creazione artistica. Centralità essenziale ed eccelsa dei lavori di Elena Monaco è il corpo umano,pretesa somiglianza di Dio e potenzialità blasfema, protagonista di dannazione in assidua lotta con l’anima, troncone di carne tormentato da cupi pensieri,enigmatica espiazione di colpe di cui non conserva memoria.«Ho voluto rappresentare - dicela Monaco- l’“irrapresentabile”attraverso la cosa più rappresentata nei secoli,il corpo,per trasmettere sensazioni tuttora oscure per la scienza:amore, rabbia,violenza,crudeltà,sensazione del limite,terrore,pulsione a trasgredire.» E la scommessa era riuscire a farlo in forma classica, la più difficile poiché con essa si sono misurati i più grandi. Il nostro rapporto con il corpo, massa di carne sensibile, stupefacente contenitore di ossa tendini muscoli umori crudelmente predestinato allo sfacelo, non è mai sereno né quieto. Né lo è il corpus delle fascino se immagini di Elena Monaco che,a dispetto dell’armonia delle forme e della loro suprema quanto transitoria bellezza,raffi-gura personaggi in spasmodiche contor-sioni dentro invisibili camicie di forza (convenzioni ipocrite,superstizioni,sopraffazioni violente) o costretti da cortine di filo spinato,imprigionati in reticoli di camere della morte,protesi in disperati tuffi precipiti nel tentativo di sfuggirvi o serrati inavvinghianti amplessi in cui soffocare il senso acre del peccato. E insieme al linguaggio dei corpi,trionfo della creazione e raccapricciante promessa di putrefazione,il terribile linguaggio delle mani: drammatici viluppi di dita serrate in incarnazioni di angoscia,rapaci prese grifagne,artigli che affondano nella carne eccitata di amanti schermo inutile all’abbandono di un pianto, carezza su di un corpo amato, significante reperto di disumane fatiche, insinuante strumento di piacere, forza maschia prevaricante, venose abbandonate appendici nella remissiva decadenza dei vecchi.La Monacoracconta la commedia tragica della vita e non teme la morte, ne accetta l’idea con fatalistica razionalità pur avvertendo in se stessa l’innata avversione istintuale all’estremo passaggio, rifacendosi a una Pachamama, Gea o Grande Madre che nutre il mondo di cui noi siamo forse un cancro che perniciosamente si riproduce. Elena Monaco ha una visione della fine dell’esistenza ispirata al mistero delle «grandi teste di pietra dell’isola di Pasqua che - dice - sorridono e guardano il nulla». Approderemo alla nostra isola di Pasqua? L’amore per l’arte è in fondo ricerca per ritrovare se stessi nelle intuizioni dell’autore; è il tentativo seducente di consolare il nostro spaesamento di spoglie vaganti senza risposte, incamminate verso l’oscurità,in attesa di un Dio che si accorga del nostro sgomento.
Giovanni Serafini