ELTJON VALLE Marinz
dal 27 ottobre 2004 al 14 novembre 2004
Libreria Bocca - Galleria Vittorio Emanuele II 12, 20121 Milano
Eltjon Valle è un giovane artista albanese, che ha intrapreso un lavoro di ampio respiro sul petrolio, in relazione a una commissione di una compagnia petrolifera, che ha rilevato i giacimenti di una vasta area estrattiva precedentemente affidata ad aziende di stato del suo Paese. Alcuni risultati di questa ricerca, a cui già è stato dedicato ampio spazio in una mostra presso la Galleria Nazionale di Tirana del 2008, sono stati visibili il 5 e il 6 maggio 2010 presso lo spazio per l’arte O’ di via Pastrengo. La Bankers Petroleum Ltd ha incaricato Valle di elaborare un "progetto" che possa avviare un processo di sensibilizzazione alla bonifica di un territorio, quello di Patos Marinza, dove l’applicazione di tecniche estrattive arretrate e particolarmente invasive ha determinato un vero e proprio disastro ambientale, con forti ripercussioni sulla qualità di vita della popolazione. Un tema dunque di arte sociale, che, pur nell’indubbia valenza estetica di alcuni segmenti della sua articolazione, va poi misurato complessivamente nella sua efficacia narrativa e politica. Eltjon dà infatti vita a una serie di interventi site specific, direttamente sui pozzi, in modo da evidenziare la drammatica urgenza di cambiamento radicale di "prospettiva". In tal senso, l’opera dell’artista albanese si muove su di un triplo binario. C’è il lavoro finalizzato a preparare le condizioni per l’intervento, l’opera vera e propria e la sua documentazione. Per poter dunque apprezzare pienamente il dispiegarsi di questo "work in progress" è certamente necessario un approccio espositivo che si prenda carico della necessità di far convivere in uno stesso spazio gli esiti delle diverse modalità operative, che vanno dalla pittura al video, dall’installazione alla fotografia, dai rilievi topografici ai disegni.
Il limite di un allestimento come quello posto in essere a Milano sta proprio nel voler condensare in un ambito troppo ristretto questa complessità, con il rischio che un progetto d’arte pubblica dalle forti implicazioni simboliche, sociali ed ecologiche venga valutato "solo" in funzione dei suoi “derivati”, in assenza di una narrazione stratificata delle diverse fasi del lavoro. Chi scrive crede che esista in tal senso un limite di prospettiva storica nell’occhio critico educato alla lezione dell’arte italiana, e che in definitiva spinge a considerare eminentemente la valenza estetica di un lavoro, mentre, dall’altra parte, la tradizione dell’arte pubblica dell’Est Europa, che anche le generazioni più recenti, a cui appartiene Valle, hanno in qualche modo introiettato, misura un progetto soprattutto in funzione della sua forza evocativa, della sua capacità di far passare un elemento di comunicazione. “The Marinz”, così è stata chiamata la mostra, si pone dunque a metà strada tra l’installazione e la rassegna di opere. Valle si rifà alle esperienze della Land Art degli anni Settanta, anche a livello della concezione stessa del "progetto operativo".
Da parte nostra, però, siamo in qualche modo “costretti” anche a "segmentare" il suo lavoro, e a considerarlo parte per parte. Possiamo in tal senso dire che l’approccio così sensibilmente minimalista dei suoi disegni su carta traslucida ci paiono ostentare una troppo “consapevole” algidità concettuale. Si tratta infatti di una sorta di rielaborazione astratta di una serie di dati desunti dalle cartografie dei pozzi e dalla loro enumerazione, come una sorta di variante incontrollata di un’ossessione documentale, in cui s’intrecciano analisi e "deragliamento" poetico, sempre però raffrenato dall’ambizione di essere, un po’ platealmente, sfuggente. Ci piacciono molto di più i dipinti, in cui il petrolio diventa materia pittorica, usata con diversa densità, e a richiamare questa volta sì con forza la sensazione di un terreno violato sino a essere reso irriconoscibile da una massa oscura. Gli spessori di bitume, le "sgocciolature" in cui Valle si scopre essere un artista in cui anche la riflessione sul gesto trova spazio, definiscono queste tele di una forza allo stesso tempo magnetica e respingente, esattamente come il pezzo di terreno intriso di petrolio, maleodorante, che Eltjon pone al centro dello spazio espositivo. Anche i quadri, infatti, possono essere fruiti come una sorta di texture capace di fotografare questo immane disastro ambientale, distesi in terra come se fossero a loro volta porzioni del territorio contaminato. E proprio il desiderio quasi istintivo di scrollarsi di dosso questo mondo oleoso che sembra intrappolarci è il dato reattivo più potente dell’arte di un’artista che sembra essere estremamente abile nel disseminare i segnali estetici nell’ordinamento del suo lavoro, ma poi svela il suo lato più sensibile nell’abbandonarsi all’espressività, senza mediazione, della pittura.