EMOZIONI DI LUCE<br/>Arte in Salotto II

EMOZIONI DI LUCE
Arte in Salotto II

dal 09 maggio 2003 al 30 maggio 2003

Libreria Bocca - Galleria Vittorio Emanuele II 12, 20121 Milano

Emozioni di Luce: seconda mostra del ciclo: Arte in Salotto, organizzato dall'Associazione Salotto di Milano, in collaborazione con il Comune di Milano, l'Accademia di Belle Arti di Brera e il Museo della Permanente. Milano: Galleria Vittorio Emanuele II e SpazioBoccainGalleria.

 

Adalberto Borioli ha studiato affresco presso la Scuola d’Arte del Castello Sforzesco. Dal 1962 il suo lavoro è stato presentato in numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Ha ricevuto numerosi premi, sia per la pittura che per l’incisione (tra cui il primo premio alla II e alla VII Rassegna Nazionale dell’Incisione di Nova Milanese) e segnalazioni in diversi concorsi d’arte.

Giorgio Vicentini vive e lavora a Induno Olona (Varese). Nel 1974, anno della sua prima mostra personale, lascia gli studi di giurisprudenza per dedicarsi interamente all'attività artistica. Di formazione culturale milanese, orienta la sua ricerca in ambito concettuale, scegliendo poi un linguaggio autonomo basato sul colore. Dal 2006 su invito di Cecilia De Carli conduce i laboratori di storia dell'arte al corso di laurea in Scienze della Formazione all'Università Cattolica di Milano. Sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private in Italia e all'estero. E' consulente artistico dell'architetto svizzero Ivano Gianola, della Fondazione Emilia Bosis di Bergamo ed è autore di marchi di impresa che si sono imposti a livello internazionale. Giorgio è padre di Luca, Viola e Pietro ed è sposato con Marta Campiotti.

Mario Raciti quando, nel 1952, mi iscrissi a Giurisprudenza anziché a Brera, pur desiderando a tutti i costi di “fare il pittore”, incominciavo già a seguire quella linea “trasgressiva” che mi seguirà nel mio fare poi professionale, di pittore vero. Un po’ anarchico, non adeguato ai canoni correnti (usavo la pennellata “à plat” in tempo di pittura ananlitica!), non seguivo il fare del momento come altri, non sentivo l’arte come forma (non rassomigliavo, come molti affermavano, a Novelli o a Twombly per via del bianco e della matita); mi avvicinavo alla povertà della stesura (negli anni 70) più per rarefazione spirituale che per pragmatismo esecutivo (“troppo poetica per appartenere alla nuova pittura, la tua” mi disse Fagone). Inseguivo chimere altre, era un viaggio che svolgeva verso un non dove, in una atmosfera visionaria di tensione e dissipazione. Ho pensato sempre alla mia pittura, che viaggia e varia nella psiche profonda del viaggiatore, come a un romanzo di formazione, alla maniera di Enrico di Ofterdingen di cui Klaus Wolbert ha citato per il mio lavoro il “fiore azzurro”, che è simbolo romantico. Per cui, se, per alcuni, sono “borderline”, se altri, come Barilli (su l’Unità), mi ritengono ancora un informale “come un kamikaze giapponese che combatte ancora su un’isola senza sapere che la guerra è finita”, (ma quanto tempo è passato dal vecchio informale, quasi quanto quello del “fare pittura”): io so solo che, memore dell’arte di sempre, invento tra le macerie dell’oggi “una pittura ultima”, ed è colpa del mio inestinguibile, pressante sogno, se sono kandiskianamente necessitato da una forma che è quella e non si può classificare alla luce dei regolamenti vigenti. Ed in questo senso mi sento “moderno” (e non “modernista”): perché vivo drammaticamente l’impossibilità della pittura di esserci come presenza (“Non fosse artista”, cito Gualdoni, “Mario Raciti vorrebbe una pittura felice…”), ma come traccia visionaria, come velato altrove, in attesa di un domani più vero, oggi dolorosamente impossibile. “I fiori del profondo” è l’ultima evoluzione della mia pittura. Dopo le figurazioni fantastiche degli anni ’60, le “Presenze assenze” degli anni ’70, le “Mitologie” degli anni ’80, negli anni ’90 nascono i Misteri che evolvono nel 2000, nei “Why” (drammatico “perché” del Cristo sulla croce). Attualmente, rivivendo il mito di Proserpina, che, prigioniera nell’Ade, anela a comunicare sulla terra colla madre Demetra, dea delle messi, facendo nascere sul pianeta i fiori a primavera, apro il dramma alla speranza, Speranza, oggi velata dalla privazione di un contatto umano, speranza di un nuovo vivere

Enrico Della Torre nasce a Pizzighettone (Cremona) il 26 giugno 1931. Dopo aver frequentato il Liceo e l'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, nel 1953 realizza dipinti di matrice informale e incisioni all'acquaforte ispirati ai luoghi familiari della Pianura Padana. Nel 1955 si stabilisce definitivamente a Milano, dove si presenta con una personale alla Galleria dell'Ariete. L'anno seguente vince il secondo premio per la litografia alla Biennale dell'Incisione Italiana a Venezia. Dopo un breve soggiorno a Parigi, ricerca una sintassi pittorica nuova e più strutturata, e realizza, nel 1958, quadri connotati da linee parallele orizzontali con toni chiari; nel 1959 realizza invece quadri ritmati da diagonali nere. Ma, soprattutto a partire dal 1968, la pittura di Della Torre diventa espressione di un mondo popolato da personaggi inediti, da animali, da visioni, di gusto astratto lirico-naturalistico. Nel corso dei primi anni Settanta vive un momento di grande successo di pubblico e di critica, foriero di mostre in Italia e all'estero, cui si aggiunge la partecipazione alla X Quadriennale d'Arte di Roma. Per la sua attività di disegnatore ottiene nel 1971 il primo Premio Soranga e nel 1981 il primo Premio Internazionale Lario a Como. La sua pittura, intanto, matura e rivela atmosfere fantastico-surreali: alterna figurazione e astrazione, o associa i due momenti passando dalla visionarietà di Kubin alla scrittura segnica di Wols. Decanta in analogie molto libere, liriche, l'originaria vocazione embrionalmente narrativa. Nel 1983 comincia anche ad utilizzare il collage, misurandosi con una tecnica che gli consente di sperimentare in maniera più diretta un ulteriore grado di astrazione dell'immagine. Dopo le grandi retrospettive di Monaco di Baviera e di Ahlen in Vestfalia, nel 1989 il Comune di Milano gli dedica una mostra al Padiglione d'Arte Contemporanea, alla quale fa seguito l'importante rassegna Di segno italiano - Italiensche Zeichnungen 1908 - 1988 nei musei di Francoforte, Berlino, Zurigo. Nel 1994 gli viene conferito il Premio della Triennale di Milano per l'incisione, mentre nel 1997 gli viene dedicata una rassegna antologica presso il Centro Studi Osvaldo Licini a Monte Vidon Corrado nelle Marche. Nel 2000 gli viene dedicato una vasta retrospettiva a Reggio Emilia.

Paolo Iacchetti nasce a Milano nel 1953, dove vive e lavora.La sua formazione è scientifica: si laurea in chimica nel 1976. Consegue nel 1982 il Diploma all’Accademia di Brera ed il 1983 è l’anno della sua prima esposizione personale. Negli anni Ottanta partecipa a collettive istituzionali a Milano, Bologna e Trento (PAC, Galleria Civica, Palazzo delle Albere) in Germania (Frankfurter Kunstverein) ed in Francia (Montrouge), ottenendo una attenzione sul lavoro che si traduce in collaborazioni continuative soprattutto in Germania ed in Svizzera.Negli anni  Novanta partecipa al Premio Michetti, alle Biennali milanesi del Museo della Permanente (Milano) , alla Quadriennale (Roma), alle rassegne nazionali sugli anni Ottanta e Novanta e sulle ricognizioni storiche degli ultimi quaranta anni di pittura in Italia (Bologna).Nell’ultimo decennio, ottiene attenzioni   in rassegne specifiche sull’arte astratta e radicale sia in Italia (Torino, Bologna, Milano) che in Germania (fra cui Weimar, Wuppertal, Klagenfurt).Da notare la sua presenza nella rassegna sull’arte italiana preparata dal MART per la sede di Rovereto (2005) e per il Museo di Hanoi (2007).Realizza esposizioni personali al Museo della Permanente di Milano (2006), alla Rocca di Bazzano (2007), al Museo Diocesano di Milano (2008).

Paolo Olivieri nato a Roma nel 1934. Mio padre era un maestro elementare e io in quegli anni ricordo le folle di piazza Venezia, il biancore di quel monumento là in fondo, il rumore dei tram che ci portavano ad una scuola materna sull'Aventino, le olive verdi che mio padre mi comprava per la strada, dentro un cartoccetto di carta gialla.
Con la morte di mio padre e la guerra ormai imminente, fu necessario mettersi in viaggio per andare a Mantova, luogo d'origine di mia madre. Treni lenti, stazioni dai nomi mai sentiti, Orte, Terontola, Arezzo. Fuori, un mondo quasi senza rumori, paesaggi profondi, rare luci nella notte, voci dagli accenti che mutavano mentre risalivamo verso nord. Abitavamo nel vecchio Ghetto di Mantova, per via del nonno ebreo, nel cuore antico di quella città così particolare, chiusa dai suoi laghi, anch'essa, allora, silenziosa e raccolta. Ricordo i cinque anni della guerra come un tempo lunghissimo, con estati abbaglianti e inverni gelidi e interminabili, le fughe nei rifugi e le scorribande per le campagne quasi deserte, le paure e la confidenza con il pericolo. I ponti crollati, le piene terribili del Po, le sirene e i lampi della contraerea, le notte cieche, i camion tedeschi e quel giorno in cui, sulla mia bicicletta, mi sono visto venire incontro quaranta panzer diretti verso il fronte, dove la loro mostruosa potenza si sarebbe dissolta. Credo che la mia memoria si sia formata lì, abbia imparato lì a preservare ciò che è essenziale. A guerra finita, la vita riprese come stupefatta da una normalità ritrovata.  Nell'irripetibile libertà di spazio di quel tempo, i laghi erano il territorio dell'estate, il luogo lustrale di una natura ancora intatta. Dopo il ginnasio, Milano, la rivelazione dell'Arte, la cultura, gli incontri.
Gli anni del fervore - dagli anni Cinquanta al 1970 - con le grandi mostre, le polemiche, le incazzature sono ormai più lontani della stessa guerra.

Valentino Vago è nato a Barlassina (Milano) nel 1931, vive e lavora a Milano. Appena terminati gli studi all'Accademia di Belle Arti di Brera, espone alla VI Quadriennale d'Arte di Roma.  Nel 1960 tiene la sua prima personale al Salone Annunciata di Milano, presentato da Guido Ballo.  Da quel momento il suo lavoro si andrà affermando come uno dei più significativi della pittura italiana in questi ultimi decenni.  Inconfondibile per la qualità della luce e la liricità del segno, è stato fino a oggi presentato in oltre novanta mostre personali e importanti collettive in Italia e all'estero. Si ricordano, tra le altre, le partecipazioni a rassegne realizzate dalla Biennale di San Paolo, al Kunstmuseum di Colonia, alla Hayward Gallery di Londra, al Grand Palais di Parigi e, ancora, nei musei di Francoforte, Berlino, Hannover, Vienna.  Negli ultimi quindici anni si è dedicato, con continuità, anche alla pittura murale, affrescando ambienti pubblici e privati sia in Italia che all'estero.

Piertantonio Verga Nasce nel 1947 a Milano. Dopo i primi anni di formazione, intraprende l’attività espositiva esordendo in mostra personale nel 1966 a Seregno. Da allora è continuativo il percorso di esposizioni personali in gallerie private ed enti pubblici istituzionali. Tra le più recenti personali si segnalano: 1998 e 1999, Kyoto e Nagano (Giappone); 2000, Chiavenna, Palazzo Pretorio; Seregno, Centro Culturale; 2001, Staranzano, Galleria Civica; 2002, Carona (Svizzera); 2003, Milano; Luino, Palazzo Verbania; 2005, Milano; 2006, Ghiffa; Castell’Arquato; Desio, Villa Tittoni Traversi. Nel 2007 ordina una personale a Pizzighettone, Museo Civico. Nel 2008, Maccagno, Civico Museo Parisi Valle; Barlassina, Palazzo Rezzonico; Portograuro, Istituto Vescovile “G. Marconi”; 2009, Seriate, Palazzo Municipale. Partecipa a mostre e rassegne collettive in sedi private e istituzionali, anche in ambito internazionale. Ha ottenuto i premi Bugatti (1979), Giovanni Segantini (1980), Giussano Brianza (1980), Cassa Rurale (1980), Fondazione Durini (1991). Nel 2001 partecipa a Lissone alla rassegna “Il luogo, il tepo, la traccia”, allestita alla Civica Galleria d’Arte Contemporanea. Nel 2002 partecipa alla mostra “Páginas desde Lombardía, un Museo de Arte Contemporáneo” itinerante in Spagna, a Castell d’Aro, Santa Pau, Santa Susanna e al Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Gazoldo degli Ippoliti, riproposta poi nel 2005 al Civico Museo Parisi Valle di Maccagno con il titolo “Páginas desde Lombardia - Itineranti di ritorno”. Nel 2004 espone ad Ascona (Svizzera) e nel 2005 a Francoforte. Nel 2006 è invitato alla mostra “Acquisizioni 2006” a Maccagno, Civico Museo Parisi Valle; partecipa alla rassegna “Arte Contemporanea in Lombardia - Generazione Anni ’40”, presentata in prima sede al Civico Museo Parisi Valle di Maccagno e poi riproposta nel 2007 a Milano, Spazio Guicciardini, e a Gazoldo degli Ippoliti, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea. Nello stesso anno espone all’Istituto Italiano di Cultura a Bruxelles; al Palazzo della Ragione di Trento; alla mostra “Evanescenti richiami d’assenza” a Milano. Nel 2007 partecipa alla Rassegna “Carosello italiano” a Palazzo Boglietti di Biella; la mostra è riproposta in seconda sede a Castell’Arquato, Antico Palazzo della Pretura e in ultimo, nel 2008 a Milano, Casa dell’Energia. Sempre nel 2007 è invitato ad esporre alla collettiva "Dall'Ideale all'Arte Contemporanea - Identità e Umanesimo" a Sabbioneta presso il Palazzo Ducale. Nello stesso anno espone a Finalborgo, complesso monumentale di S. Caterina; ad Albissola Marina, Museo della Ceramica e a San Quirico d’Orcia, in provincia di Siena, Palazzo Chigi-Zondadari. Nel 2008 è presente alla mostra “Repubblica e Costituzione” allestita all’Archivio Generale dello Stato a Roma, alla mostra “Convergenze parallele” organizzata a Biella, Palazzo Boglietti e “Tondo d’autore” a Salò, Fondaco di Palazzo Coen. Nel 2009 è a Barlassina, Palazzo Rezzonico, a Milano, Spazio Tadini, e a Maccagno, Civico Museo Parisi Valle. Nel corso degli anni riceve commissioni per numerose opere pubbliche. Recentemente realizza a Varese un graffito per l’Università dell’Insubria (1999) e un dipinto per la chiesa parrocchiale di Beverate (1999). Nel 2006 realizza i dipinti della chiesa di Sant’Anselmo da Baggio a Milano. Dal 1992 al 2002 è stato titolare della Cattedra di Pittura all’Accademia di Belle Arti Aldo Galli di Como. Vive e lavora a Desio.

Opera di copertina: Claudio Olivieri

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