Giuliana Susterini Voluttà dell’essenza

Giuliana Susterini Voluttà dell’essenza

dal 11 dicembre 2014 al 31 dicembre 2014

Libreria Bocca - Galleria Vittorio Emanuele II 12, 20121 Milano

voluttà dell’essenza

 

 

se c’è sulla terra e fra tutti i nulla qualcosa da adorare,

se esiste qualcosa di santo, di puro, di sublime,

 qualcosa che assecondi questo smisurato desiderio dell’infinito e del vago

 che chiamiamo anima, questo è l’arte.

Gustave Flaubert

 

Nel babelico panorama dell’arte contemporanea si va delineando, dopo un secolo di velleitari avanguardismi e di deliri concettuali, una tendenza al rinsavimento nel recupero della cosiddetta figurazione, a lungo trascurata se non spregiativamente ricusata, quasi fosse essa stessa e non il suo tralignamento l’imperdonabile anomalia dei tempi.     

All’arte è estraneo l’assioma del progresso, discutibile concetto appartenente al tecnicismo, ed essendo essa il prodotto di un livello di intelligenza umana costante nel tempo – altrimenti oggi ci troveremmo al di là del superuomo – non conosce particolare evoluzione, ma solo innumerevoli espressioni di fantasie creative. I capolavori che l’umanità è andata accumulando nei secoli trascendono il loro contingente e diventano patrimonio universale e atemporale. Il busto di Nefertiti, il Galata morente, il Laocoonte: di quale progresso sarebbero suscettibili?  La perfezione formale e sostanziale che li caratterizza come potrebbe essere superata? Dovremmo forse considerare progresso i ritratti cubisti con le orecchie  al posto dei nasi, l’inarrestabile diluvio degli scarabocchi, i nauseanti intrugli di colori, i baffetti posti a La Gioconda? O non ritenerlo solo umiliante decadimento nella smaniosa rincorsa del nuovo ad ogni costo? Molti pittori saprebbero oggi rifare Mondrian e Malevi?, quanti Leonardo e Dürer?

“L’arte cammina ma non evolve – osservava Felice Casorati – e sa dove arrivare”. E l’arte, come ogni seria professione, non può nascere dall’improvvisazione, richiede studio, applicazione. Disegnare è l’imperativo categorico di ogni vero artista, è la grammatica indispensabile per riuscire ad esprimersi, per riuscire a fare “quello che si vuole e non quello che viene”, necessità tralasciata dalle odierne accademie, i cui docenti, fuorviati da insensatezze moderniste, non sono in grado di insegnare quello che non hanno mai imparato a fare.

Giuliana Susterini ha seguito con istintiva passione, senza nulla concedere alle mode, la vecchia e lunga strada formativa del disegno nell’assecondare quella particolare propensione che spinge alcuni eletti ad esprimere con immagini le suggestioni generate dal mondo reale.

Una costante tensione al perfezionamento ha portato Giuliana a frequentare a Salzburg il corso di Gerda Fassel alla Sommerakademie fondata da Kokoshka; a Gorizia lo studio del valente e poliedrico Franco Dugo; a Trieste Il Laboratorio di Paolo Cervi Kervischer; ma, conquistata dall’interessante testo filosofico “Perché figurativo” e dalla sua feconda genialità artistica, determinante è stato per lei l’incontro con il Maestro Mario Donizetti, in grado di far davvero fiorire e felicemente sviluppare il suo talento.

Osservando i lavori della Susterini, in particolare le sue nature morte, che  all’impressione di straordinario svelamento di un archetipo assommano malie di velature, avvertiamo nella trasfigurazione plastica degli oggetti, sedotti dalla  euritmia delle forme e delle cromie, l’irradiarsi di una segreta energia in curioso contrasto con la loro inerte, funerea accezione.  “Mela cotogna”, ben altro che algida riproduzione mimetica, è una delle opere che suscita tale straniamento emotivo, risultato di una immaginifica riorganizzazione intellettuale del soggetto contemplato, intuendone l’essenza, captando l’idea platonica del frutto.

La “foglia secca” non è solo emblematica allusione all’inesorabilità del tempo nel rattrappirsi solitario di una foglia o alla struggente agonia autunnale, è anche rappresentazione della disperante provvisorietà del tutto, della nostra   insignificanza, o forse ancora dello spasmo interrotto di una scarna mano  morente nel vano sforzo di aggrapparsi alla vita. E “more”, esiguo tralcio di rovo che spunta da un muro di tufo, con tonalità malinconiche e lievi, rievoca proustiani sapori d’infanzia e spinose punizioni di graffi; e “limone”, dal cadaverico pallore che, in riverso abbandono, insensibile all’inutile fedeltà di una foglia affranta, compendia la rassegnata apatia di un vecchio stanco di vita.

Non meno degni di nota i disegni di nudo che Giuliana realizza con l’impegnativa tecnica, mutuata dal Maestro Donizetti, della punta d’argento su tavola trattata con particolari accorgimenti da lui riesumati e sapientemente perfezionati, disponibili anche nei preziosi corsi in rete del suo generoso Museo Scuola.

Il corpo umano è infatti l’altro prediletto argomento di ispirazione della  Susterini, colto in tutte le sue mutanti condizioni. “Mano di violinista” ha come protagonista  il braccio energico del musicante, carnalità pulsante nel virtuoso, dinamico fluttuare dell’archetto, trionfante di sonora luminosità sulla nera pece del fondo. Opere ponderate, percorse da un fine lirismo, che invitano alla meditazione, a dimostrazione che l’arte non è inutile, ma elevazione, consolazione e risarcimento di bellezza, mezzo sublime per esprimere i sentimenti e il tormento degli uomini, per tramandare quanto di più nobile l’umanità abbia saputo realizzare.

 

Giovanni Serafini

    

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