La Calma verità delle cose

La Calma verità delle cose

dal 03 ottobre 2013 al 31 ottobre 2013

Libreria Bocca - Galleria Vittorio Emanuele II 12, 20121 Milano

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la calma verità delle cose   

 

noi usiamo i colori,

ma quello con cui dipingiamo è il sentimento

Jean-Baptiste Siméon Chardin

 

 

La segreta e inesplicabile magia della pittura, quando raggiunge l’emotività della fascinazione, pare concentrarsi in un’immagine di verità e di bellezza ispirata a frammenti di realtà, colta da un inedito punto di vista ed espressa con uno stile personale di convincente efficacia: compito sempre più arduo per gli artisti, gravati dall’eredità dell’immenso patrimonio di capolavori cumulatosi nei secoli e impegnati a distinguersi in qualche modo da esso grazie ad un personale estro creativo che ne denoti la singolarità.

Guido Cadini, che fin da giovanissimo ha assecondato la sua pulsione ad esprimersi con le fantasiose alchimie dei colori seguendo, più da educato osservatore che da fattivo allievo di bottega, gli avari consigli dell’allora affermato e taciturno maestro Bruno Darzino, ha perseguito con tenacia il suo ideale artistico nel corso di un’intera vita, sensibile e fedele a un suo intimo mondo poetico, dipingendo prevalentemente all’aperto (en plein air come pomposamente vantavano gli impressionisti) e solo occasionalmente nel chiuso di uno studiolo, ma con i soggetti da rappresentare sempre ben concreti davanti agli occhi, con l’unico problema del loro rapido degrado, contrastante con la lenta asciugatura dei dipinti ad olio.

Non paiono numerosi i pittori che si servono della tradizionale fisicità di modelli veri per ricavarne diretta ispirazione di forme e suggestioni cromatiche, considerati veristi in quanto riproduttori del reale. Ma quello che si ritroverà nelle loro tele non sarà la mera riproduzione oggettiva di quanto osservato, ma una sua rivisitazione mentale in cui gli elementi assorbiti attraverso lo sguardo, filtrati da un particolare sentire e rimodulati da un’armonia interiore, verranno ricreati sulla tela con originale interpretazione, in cui i dettagli tratti dall’osservazione del vero si fonderanno in una sintesi ideale, offrendoci rappresentazioni che, nei casi di più persuasiva riuscita, verranno riconosciute come vere e proprie opere d’arte.

Anche gli oli di Cadini, e in particolare le da noi predilette nature morte, al pari degli ariosi paesaggi veneti, delle rigogliose vedute calabresi e toscane e dei ritratti, raffigurano sicuramente riconoscibili realtà, ma nella fase esecutiva assumono, attraverso un processo di lirica trasposizione, una connotazione di universalità che li libera dalla loro pedissequa oggettività temporale.

La pittura di Guido Cadini, con l’uso diretto del colore, denso, pastoso e con un  segno morbido dai delicati effetti chiaroscurali, personale rimeditazione di alcune lezioni estreme di Cézanne – di sorprendente impatto il suo mele e pere  –  

e di quelle più sagge e gradevoli dei lavori di Alfred Sisley, di Stern Pissarro e di vari altri autori, non senza qualche curiosa attrattiva per la delirante matericità di Van Gogh, è ancora una volta dimostrazione di quanto varia e difforme possa essere l’interpretazione della tecnica pittorica, dagli estremi di quella sommaria e dispersiva di un Filippo De Pisis o apparentemente approssimativa di un Giorgio Morandi fino alle più maniacalmente analitiche e minuziosamente descrittive di un Willem Claesz o di un Frans Hals, con stili e risultati descrittivi radicalmente diversi e tuttavia plausibili quando vi si riscontrino freschezza inventiva e armonia di forme capaci di trasmettere una sensazione di appagamento estetico, di equilibrio raggiunto, impedendo di tracciare netti confini, di stabilire inflessibili precetti di ortodossia espressiva, essendo ogni artista un caso e contando, in ultima analisi, il complessivo risultato contenutistico e formale del lavoro eseguito.

Cadini, senza ricorrere ad artificiose invenzioni per superare l’apparente e inerte banalità delle cose, con una controllata e scarna scelta compositiva e l’impiego di particolari tonalità cromatiche che, progressivamente, da vivide ed entusiasticamente squillanti si sono lentamente smorzate, facendosi discrete, fino a sfinirsi talvolta in spossate opacità autunnali, riesce a trasferire nelle sue opere una sensazione di pacificante armonia, una sorta di malinconica serenità, svelandoci, con le sue silenziose storie minime, quell’intima essenza delle cose che ci sfuggiva, quei piccoli segreti di beatitudine contemplativa capaci in fondo di rendere ancora accettabile la vita.

La disadorna solitudine dei toccanti e spaiati fiori di devozione, sparuto mazzetto raccolto in povertà nei campi e deposto in segno di affezionata venerazione, sono testimonianza della capacità di Cadini di saper scovare nel quasi niente la straordinaria forza di un sentimento.

Nella natura morta con sarde, piccola strage di argentei pesci guizzanti, arrossati da fresche gocce di sangue, buttati su quella carta gialla da macellaio su cui ci appaiono bell’e fritti e sgocciolanti, profumati e succulenti, perché traviati dal fresco e invitante bicchiere di vino a lato, il minidramma si sublima da sé nella commistione di crudi elementi visivi superati da immaginarie suggestioni.

Natura morta con ciliegie nasce in un’atmosfera dai toni cupi, da cui emergono con moderato risalto una brocca d’argento e una tazza da tè con fregi azzurri accanto ad un piatto colmo dei maturi frutti rosseggianti, dal quale alcuni, turgidi e invitanti, straripati sulle notizie invecchiate di un giornale gualcito, ci attirano con la forza di tentazioni carnali.  

Tavolino nero, circoscritta rappresentazione di un interno composto di pochi oggetti, sovrastato dalla rugginosa vampa dell’intonaco e scandito dalle aste scure del piccolo tavolo su cui poggiano due bottiglie che riversano ombre sghimbesce e paiono soffocare nel dilagante biancore di un drappo spiegazzato e di scintillanti ceramiche, ci appare, per accostamenti cromatici e impianto compositivo, uno dei lavori più riusciti di questo autore.  Mele, opera dai toni pacati, percorsa da una luce violacea che esibisce l’improvvisa intimità violata di una mela sezionata accanto all’indifferente rotondità di una mela intera, accenna forse a quel dolore che tutti portiamo dentro e che talvolta l’imprevedibile crudeltà del fato ci costringe a palesare.        

Le sue frugali nature morte si nutrono di soggetti  elementari e dimessi: un cespo d’aglio, un radicchio, una brocca smaltata,  limoni, due pesci, vasi di fiori dagli acquosi riflessi, una cipolla scartocciata, un vecchio piatto sbreccato, riuscendo a farci infine intuire, nella calma riflessiva della sua pittura, l’indefinibile anima delle cose.  

Anche l’ossuta, telegrafica concisione dei titoli che Cadini attribuisce ai suoi dipinti – fiori secchi,  fichi d’India,  rose nel bicchiere,  sedia rossa – denotano la sua propensione a non enfatizzare il simbolismo dei soggetti da lui figurati, quanto piuttosto a sottolinearne la specificità come ineludibile affermazione di una sia pur fugace presenza, simile al nostro stesso insensato esistere, perduto nello spaventoso guazzabuglio del creato.

Sulle sue opere il nostro sguardo, stremato e distorto da mitragliamenti di immagini urlanti, si posa con una riposante sensazione di riconciliazione, di  gratitudine per gli esiti di una pittura che cerca di farsi dimenticanza del dolore e ci rasserena, proposta con garbo e raffinatezza d’animo, con quella felice naturalezza che a volte l’umiltà sa regalare.

 

Giovanni Serafini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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