Mariangela De Maria
dal 07 marzo 2001 al 18 marzo 2001
Libreria Bocca - Galleria Vittorio Emanuele II 12, 20121 Milano
Carte 1993-2000
“Io non credo che il tempo non passi per nessuna cosa, resta tutto lì in attesa di farlo tornare. Forse arriva il momento in cui sono le cose a voler essere raccontate…” , scrive Marias in un passo di Un cuore così bianco. Queste sono le parole il cui significato può essere attribuito all’espressione degli ultimi lavori di Mariangela De Maria. Ogni artista accanto alla biografia delle opere ne ha una riferita al quotidiano, le cui variabili risultano determinanti nello svolgersi dell’esperienza e delle infinite possibilità espressive. Per cogliere il segreto racchiuso in queste carte è necessario riferirsi al silenzio, al quale l’artista per molto tempo le ha affidate, all’immaginario poetico e letterario che le ha accompagnate nel tempo, al ritmo scandito dalle note del flamenco, grazie al quale i segni e le tracce del percorso che oggi si delinea nel suo lavoro hanno ricominciato a riaffiorare in superficie. La vicenda artistica di Mariangela De Maria inizia, infatti, nella metà degli anni Sessanta. Già allora il disegno, caratterizzato da una matrice postcubista e figurativa, era strumento d’indagine compositiva delle figure nello spazio, ma, nonostante i successi iniziali e le buone prospettive che le si presentano, l’artista decide di dedicarsi all’insegnamento della storia dell’arte. Una scelta sofferta, che molti anni dopo trova una sua via d’uscita prima nella dimensione fisica della danza – il flamenco, come tutte le forme di ballo, richiede allenamento e conoscenza del movimento e delle traiettorie del corpo nello spazio – in seguito nella superficie bidimensionale del foglio da disegno.
La volontà e la forza espressiva della carte esposte alla Libreria Bocca definiscono il senso di rinuncia, che ha segnato il percorso dell’artista e determinano la libertà con la quale si muove tra arte, letteratura e musica. Se, come sottolinea la stessa Mariangela De Maria, la scoperta del flamenco è stato un passaggio fondamentale dell’esistenza, anche la letteratura e la scrittura offrono nuovi spunti ne colmano un immaginario esistenziale già ricco di suggestioni. Il silenzio degli anni passati si contrappone alla necessità di esprimersi di questi tempi, in cui Mariangela De Maria vive un momento di esuberante ed energetica creatività. “Forse arriva il momento in cui sono le cose a voler essere raccontate, proprio loro per riposare e per diventare finalmente fittizie” – è ancora la voce di una delle protagoniste del romanzo di Marias citato all’inizio. Il silenzio ha significato paziente attesa, distacco, maturazione e libertà espressiva, alla quale si aggiungono la capacità e lo stile nell’esecuzione tecnica, che procede per continui scarti in negativo-positivo. Il tema del racconto è affidato alle immagini, la montagna in particolare, dove l’artista ha eseguito molte di queste opere. È un’immagine di paesaggio in cui le sensazioni e le emozioni sono affidate alla matita e alla china perché ne raccontino la storia. Talvolta è addirittura il ricordo sia dell’immagine che dell’emozione il protagonista, il soggetto principale dell’opera. Questi paesaggi, infatti, sono prevalentemente senza titolo e tra le pieghe e l’andamento vorticoso del tratto calligrafico nascondono la dinamica di un racconto che si ripete ogni volta diverso.
Mariangela De Maria dichiara e rivendica il persistere di una dimensione narrativa in cui torna costante la riflessione sull’identità. Il fatto di essere donna non è mai espresso come segno di diversità e ambito d’appartenenza, ma diventa motivo poetico espresso attraverso la sensualità fisica, che accenna alle parti del corpo femminile. La necessità fisica di riempire e vivere lo spazio è racchiusa tra le pieghe del chiaroscuro, che rimandano indirettamente alla struttura geometrica della danza gitana e alla terza dimensione, che per l’artista è solo ed esclusivamente quella del racconto. Il soggetto di questo racconto è in grande parte autobiografico, elemento quest’ultimo che, nonostante la differenza cronologica, avvicina all’artista alle generazioni più giovani. Mariangela De Maria si riaffaccia, infatti, al mondo dell’arte proprio quando gli artisti tornano ad esprimere con rinnovato interesse e vari mezzi la dimensione intima delle microstorie, delle vicende quotidiane.
Queste carte, dunque – tra suggestioni che sembrano derivare dalla tradizione surrealista e che senz’altro devono molta della loro dimensione onirica e visionaria alla letteratura e alla poesia- appaiono come un promemoria del succedersi delle tappe dell’esperienza artistica. Diventano lunghi rotoli in cui si svolge il tracciato di un percorso, dove il silenzio prima e il racconto poi trovano la loro continuità fisica. Non è un caso che il tema del viaggio come struttura narrativa derivi dalla dimensione letteraria, dalla quale scaturiscono in grande misura i tempi dell’attesa e del silenzio, resi attraverso quella che l’artista chiama “sfumatura dello scorrere del tempo”. Queste opere osservate a distanza restituiscono con precisione cartografica l’idea dello spazio e dello scorrere dell’azione, elementi questi ultimi subordinati al procedere per sensibili variazioni stilistiche, in cui la sfumatura della matita o della china porta all’appiattimento del ricordo. Il grafismo pittorico e le infinite gradazioni di chiaroscuro offrono molteplici tonalità al racconto e all’interpretazione che se ne vuole dare, aprono nuovi percorsi e certamente per l’artista sono espressione di “pienezza di vita”.
La volontà e la forza espressiva della carte esposte alla Libreria Bocca definiscono il senso di rinuncia, che ha segnato il percorso dell’artista e determinano la libertà con la quale si muove tra arte, letteratura e musica. Se, come sottolinea la stessa Mariangela De Maria, la scoperta del flamenco è stato un passaggio fondamentale dell’esistenza, anche la letteratura e la scrittura offrono nuovi spunti ne colmano un immaginario esistenziale già ricco di suggestioni. Il silenzio degli anni passati si contrappone alla necessità di esprimersi di questi tempi, in cui Mariangela De Maria vive un momento di esuberante ed energetica creatività. “Forse arriva il momento in cui sono le cose a voler essere raccontate, proprio loro per riposare e per diventare finalmente fittizie” – è ancora la voce di una delle protagoniste del romanzo di Marias citato all’inizio. Il silenzio ha significato paziente attesa, distacco, maturazione e libertà espressiva, alla quale si aggiungono la capacità e lo stile nell’esecuzione tecnica, che procede per continui scarti in negativo-positivo. Il tema del racconto è affidato alle immagini, la montagna in particolare, dove l’artista ha eseguito molte di queste opere. È un’immagine di paesaggio in cui le sensazioni e le emozioni sono affidate alla matita e alla china perché ne raccontino la storia. Talvolta è addirittura il ricordo sia dell’immagine che dell’emozione il protagonista, il soggetto principale dell’opera. Questi paesaggi, infatti, sono prevalentemente senza titolo e tra le pieghe e l’andamento vorticoso del tratto calligrafico nascondono la dinamica di un racconto che si ripete ogni volta diverso.
Mariangela De Maria dichiara e rivendica il persistere di una dimensione narrativa in cui torna costante la riflessione sull’identità. Il fatto di essere donna non è mai espresso come segno di diversità e ambito d’appartenenza, ma diventa motivo poetico espresso attraverso la sensualità fisica, che accenna alle parti del corpo femminile. La necessità fisica di riempire e vivere lo spazio è racchiusa tra le pieghe del chiaroscuro, che rimandano indirettamente alla struttura geometrica della danza gitana e alla terza dimensione, che per l’artista è solo ed esclusivamente quella del racconto. Il soggetto di questo racconto è in grande parte autobiografico, elemento quest’ultimo che, nonostante la differenza cronologica, avvicina all’artista alle generazioni più giovani. Mariangela De Maria si riaffaccia, infatti, al mondo dell’arte proprio quando gli artisti tornano ad esprimere con rinnovato interesse e vari mezzi la dimensione intima delle microstorie, delle vicende quotidiane.
Queste carte, dunque – tra suggestioni che sembrano derivare dalla tradizione surrealista e che senz’altro devono molta della loro dimensione onirica e visionaria alla letteratura e alla poesia- appaiono come un promemoria del succedersi delle tappe dell’esperienza artistica. Diventano lunghi rotoli in cui si svolge il tracciato di un percorso, dove il silenzio prima e il racconto poi trovano la loro continuità fisica. Non è un caso che il tema del viaggio come struttura narrativa derivi dalla dimensione letteraria, dalla quale scaturiscono in grande misura i tempi dell’attesa e del silenzio, resi attraverso quella che l’artista chiama “sfumatura dello scorrere del tempo”. Queste opere osservate a distanza restituiscono con precisione cartografica l’idea dello spazio e dello scorrere dell’azione, elementi questi ultimi subordinati al procedere per sensibili variazioni stilistiche, in cui la sfumatura della matita o della china porta all’appiattimento del ricordo. Il grafismo pittorico e le infinite gradazioni di chiaroscuro offrono molteplici tonalità al racconto e all’interpretazione che se ne vuole dare, aprono nuovi percorsi e certamente per l’artista sono espressione di “pienezza di vita”.
Rachele Ferrario