Con il divisibile e l'indivisibile si incrociano e si scambiano i ruoli sia l'altro sia il medesimo.
E' una delle prime considerazioni che le opere di Stefano Soddu suggeriscono, soprattutto se osservate in uno spazio che non ne consenta la separazione malgrado l'evidenza del carattere particolare (e talvolta fortemente differenziato) di ciascuna di esse. Che in una osservazione d'insieme, sempre, un gioco di interferenze reciproche agisca al punto di unificare per sovrapposizione inducendo a un giudizio complessivo, è inevitabile. (E non è detto che sia, necessariamente, fuorviante). Ma è quando la "somiglianza" non riesce a travalicare le forme immediate, quando la spinta alla formulazione più sottile di un'immagine non sia avviata al disvelamento del metodo costruttivo, che questo tipo di interferenza diventa ingannevole.
Un rischio, che Soddu evita con lucida consapevolezza: e basta infatti vedere come certe sue annotazioni scritte a margine delle opere sfuggano alla descrittività, e come siano in effetti più efficaci non quando tentano di spiegare, ma quando aggiungono. (Una funzione, questa, che pio nell'opera è spesso affidata alla superficie, per quanto dire "superficie" sia limitativo).
Perchè se "Stele", definizione ricorrente, implicasse soltanto un'idea di verticalità, e si dovesse sottovalutare il principio di collocazione, e l'implicito rimando a qualche iscrizione dedicatoria, ci si potrebbe limitare a considerare queste opere, semplicemente, come composizioni di oggetti recuperati e fantasiosamente aggregati, più o meno riferibili a un metodo oscillante fra intenzione di sovrarealismo onirico e "nouveau réalisme", dotate di una fascinazione selvaggia, orientate a una rappresentazione di tipo totemico.
Ora non c'è alcun dubbio che oggetti come quelli che stiamo osservando, con tutte le loro allusioni "primitive", abbiano anche questi caratteri. Ma quel lirismo di varia natura esoterica, per incidenza di elementi che in alcuni casi traggono il loro valore simbolico perfino dall'apparente arbitrarietà degli innesti, e che è già stato avvertito insieme a un'ipotesi di "itinerario iniziatico" (cfr. G. Seveso, 1997), proviene forse più dalle variazioni cromatiche, dall'incidenza di certi segni di superficie, da certi accostamento oggettuali minimi sul corpo percettivamente complessivo della Stele (o totem), che non - o non soltanto - della sua verticalità.
Voglio dire, quasi citando, che sono i chiodi, le corrosioni, i nodi di filo di ferro, i colpi di sgorbia, le maniglie, le corde, le catenelle, i sassi, i frammenti di stoffa, le colature, i buchi, le lenti ficcate a forza in un tronco, i manufatti informi di cartapesta o di creta, le crepe nel legno, le sbavature, le schegge ispide attorno a un orlo, insomma questi addobbi un po' insensati della struttura vera e propria, a designare l'appartenenza di questi oggetti a una favola misterica. Ex voto, forse. Oppure strumenti rurali, indifferentemente. In genere, si direbbe che nel loro tentativo di celebrare la natura mantengono una spece di natura intermedia. Essi provengono, per loro esplicita costruzione, da luoghi e tempi nei quali la loro funzione era diversa. Perciò sono anche relitti. Ma nel loro essere stati ricomposti, mutati in altro, trattengono ed esprimono il principio del loro formarsi, trasformarsi e conservarsi stranamente identici. Ed è in questo senso che vorrei fosse intesa la mia considerazione iniziale insistendo sul fatto che i rapporti fra le cose, appena stabiliti, in apparenza si cancellano per lasciarne intervenire altri: questi oggetti, che Soddu indica appunto come relazioni.
Ciò che in loro (divisi) è indivisibile è lenergia unitaria della composizione. Nella loro disponibilità simbolica a volte, ma non sempre, di tipo antropomorfico, questi oggetti testimoniano di un metodo costruttivo più esatto del prevedibile. Già di per sé una scala è un emblema straordinariamente ricco di rimandi, ma Soddu vi lavora attorno calcolando vuoti e pieni, e i ritmi, le cadenze, le misure interne, mai lasciando al caso malgrado la prontezza con cui ne raccoglie i suggerimenti, con libertà analogica, e però appunto privilegiando la soluzione armonica. L'aspetto selvaggio o primitivo, in altri termini, è controllato, quasi mai brutale, informale, o comunque emozionale in modo arbitrario. Da cui, nella teatralità, una certa elegante compostezza. Che si ritrova come indizio significativo nella scansione compositiva e nelle risoluzioni pittoriche dei pannelli, dove appunto è più semplice notare come le origini siano altrove, in una nostalgia tenera e sensibilissima per un'astrazione geometrica, per esempio, non estranea alla notazione musicale.
Ma non è solo questo che emerge da una più attenta osservazione delle superfici, ovvero della vera e propria pittura che vi si definisce come dato intrinseco all'oggetto. Isolando i particolari, negli oggetti scultorei il colore tende ad accentuare le asprità sel supporto, le spiega, ne segue le indicazioni consentendone l'emergere di forme organiche, le riconduce a una funzione rituale, talvolta sposta i "segni" nella direzione di una scrittura che si indovina "magica" come se si trattasse di ideogrammi, di geroglifici, di una spece di alfabeto ogamico se si pensa a certe sombologie celtiche appunto su stele, e scale, e sculture lignee di significato enigmatico. Con un piglio "espressionistico" (in senso generico), forse con qualche attenzione ai valori narrativi, e fortemente timbrici, di provenienza "Cobra", dove appunto la scrittura diventa strumento di apparizione. Ed è in questo incontro, infine, che il lavoro di Soddu si caratterizza in modo così suggestivo.
Roberto Sanesi
Nato a Cagliari nel 1946, risiede ed opera a Milano dove ha effettuato studi classici e si è laureato in giurisprudenza. Si è sempre occupato di arte visiva, avvicinandosi negli anni '60 allo sperimentalismo materico di Burri. Di tali anni sono le sue opere di plastica e rame. Nel 1995 fissa in un libro dal titolo "Risalendo la corrente" alcune sue esperienze ed intuizioni, elaborando un progetto in cui la scultura assume una parte preponderante. Dal 1998 partecipa attivamente al gruppo CAOS ITALIANO.