SILVIO TOMASONI

SILVIO TOMASONI

dal 06 novembre 2012 al 25 novembre 2012

Libreria Bocca - Galleria Vittorio Emanuele II 12, 20121 Milano

Biomorfismi cosmici di Silvio Tomasoni

In un’epoca nel corso della quale la scultura è mutata da una “prassi del togliere” verso una “prassi dell’accumulare” Silvio Tomasoni ha invece deciso di darsi alla scultura eroica, cioè quella che da sempre ha cercato di “cavare” da un blocco di pietra una forma che, nella mente dell’artista, era già dentro. In nuce.

Il perché di questa scelta (non solo metodologica, ma anche di pensiero) si può comprendere solo se si guardano alcuni tra i suoi tantissimi disegni. Non si tratta di disegni propedeutici alle sculture (come spesso accade nei lavori grafici degli scultori) ma piuttosto di disegni del tutto autonomi, opere compiute e seriali, nel senso che l’artista tende a lavorare per cicli.
In questi disegni vi è, già ben definita, una sua imagerie che ha caratteristiche che potremmo definire del tutto gotiche. Si tratta infatti di disegni crepuscolari, se non notturni, a volte inquietanti proprio perché mostrano delle forme che potrebbero essere degli organismi biomorfi, ed anzi spesso lo sono.
Delle forme che emergono parzialmente dall’oscurità, o forse dal buio stanno per essere fagocitate.
Il clima, come accennato, è quello del romanzo gotico, e vi aleggia perciò un’aria di mistero, di sospensione temporale, di attesa di uno svelare un qualcosa che non è propriamente umano.
Il pensiero va a Mary Shelley, ed al suo Frankestein, ed anche a quel gruppo di letterati inglesi (Byron, Polidori, Bysshe e la stessa Shelley) che nel 1816, sul lago di Ginevra, si riunirono a Villa Diodati e, costretti dal tempo inclemente, si diedero a leggere racconti dell’orrore, che sortirono poi romanzi rimasti immortali.

Insomma, che questi non siano disegni preparatori lo dimostra proprio questo retroterra culturale, e, inoltre, che spesso essi si propongono piuttosto in quanto “passi in avanti”, cioè “ulteriori” alle sue sculture. Come uno sguardo verso il futuro, verso organismi oltre l’umano: alieni.
Del resto l’artista ha confessato di aver subito a lungo il fascino di quelle forme bio-meccaniche che popolavano i film del ciclo di Alien del regista Ridley Scott, forme metà umane e metà mostri ideate e definite dall’artista svizzero Hans Rudolf Giger.
Dunque alla luce di questo vasto panorama di suggestioni, queste sue nuove sculture ci appaiono sotto un’altra luce. Non solo volumi eleganti e modulati, alla ricerca di particolari accordi formali, ma propriamente dei “contenitori”, se non dei “bozzoli”, che fanno intuire ed intravedere possibili e inquietanti forme al loro interno.
Insomma Arte e Tanathos, ma soprattutto questa duplicità di significanti, di quelli visti e di quelli non visti, e infine il dialogo tra la superficie levigatissima e suadente ed il contenuto, incognito, e potenzialmente mortale.
È, in sostanza, il gioco dei dualismi, dell’aspetto binario del mondo e della vita, dell’apparire e dell’essere, ed in ultima analisi dell’allegoria, cioè del significato reale (celato) e di quello apparente (ostentato).
Su questi presupposti, allora, il lavoro di Tomasoni va ben oltre il puro esercizio estetico-formale, ed assume un valore escatologico, proprio perché questo suo proiettarsi, fantastico se non fantascientifico, verso lo spazio profondo, oltre le contingenze terrene, ci riporta paradossalmente a confrontarci con i nostri peggiori fantasmi interiori, ma anche con le nostre migliori qualità terrene.
E se questo è lo “zoccolo duro” dei lavori recenti di Silvio Tomasoni, su di essi comunque permane ancora quel modus operandi, quel lento percorso d’interiorizzazione che è un vero e proprio processo di decantazione intellettuale (cioè una rimeditazione che ne sintetizza le forme) di quelle strutture organiche o cristalline che hanno attratto la sua attenzione e stimolato la sua stupefazione, come giustamente annotava Vladek Cwalinski nella sua prefazione al catalogo della personale alla Libreria Bocca di Milano nel 2004.
Si, perché si tratta di un circuito chiuso, quello tra “osservazione” di strutture naturali, gnomoniche, come ad esempio quelle di certe conchiglie (come il Nautilus), o come quelle dei cristalli in natura, e la loro “rielaborazione fantastica”, sulla suggestione delle sue passioni fantascientifiche, poi.
Un circuito, però, solo apparentemente “chiuso”, ma in realtà “aperto” a possibili e ulteriori sviluppi.

Maurizio Scudiero


 

Libreria Bocca: Mostra di Sculture a cura di V. Cwalinski, novembre 2004.

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